Saverio Rampin (Stra,1930 - Venezia, 1992) ha vissuto a Venezia. Formatosi presso l’Accademia di Belle Arti della città lagunare, nel biennio 1948-49, si fa presto notare nell’ambiente artistico del territorio, e partecipa dal 1948 alle collettive dell’allora attivissima Fondazione Bevilacqua La Masa. Nel 1950, a soli vent’anni, espone alla Biennale di Venezia. É oggi considerato uno dei maggiori esponenti dello spazialismo veneziano, nonostante Rampin non abbia mai voluto firmarne il manifesto. L’artista sviluppa negli anni Cinquanta una pittura caratterizzata da una forte valenza espressiva e si distanzia dalle iniziali esperienze di matrice cubo-futurista. In questo periodo si conferma come cifra riconoscibile la virata verso cromie accese, stese con pennellate impetuose, attestando un deciso astrattismo gestuale con l’ampia serie dei Momenti (1955-1957). L’incontro con Guidi nella fine del decennio porta l’artista a mutare il proprio linguaggio espressivo, orientato ora ad accogliere nuove soluzioni. Sul finire degli anni Cinquanta, infatti, Rampin matura un importante evoluzione e comincia a concentrare la sua ricerca sulle possibilità vibratili del colore, pacatamente steso in composizioni geometriche; le tinte accese saranno sostituite da colori delicati e l’impeto espressivo precedente lascia spazio ad una pittura più lirica e rivolta all’interiorità. La Galleria Michela Rizzo collabora con l’Archivio Rampin dal 2016, e ha presentato il lavoro dell’artista in diverse mostre collettive e fiere; del 2019 è la sua prima personale organizzata negli spazi dell’ex birrificio alla Giudecca, dal titolo Pensai il colore, guardai il sole, a cura di Davide Ferri.