Ennio Morlotti nasce a Lecco nel 1910. Le sue fondamentali scelte di vita non sono facili. Maturano in anni divisi tra un lavoro per sopravvivere (“Ma oscuramente sentivo dentro di me una ribellione, quell’impiego mi pareva un lento suicidio […]”) e il primo apprendistato artistico. Anni vissuti tra Lecco, Milano e Firenze, dove lo portano i suoi momentanei interessi (“Mi sono iscritto all’Accademia di Firenze nel ‘36, ma al secondo anno partii, non ce la facevo a seguire le lezioni […] ora mi accorgo che la pittura toscana deviava la voce profonda del mio istinto pittorico. Sono lombardo alla radice”). Nel ’37 Morlotti soggiorna a Parigi per un breve periodo ed ha il suo primo incontro diretto con l’opera dei grandi maestri della tradizione moderna (“Anche a Parigi dove sbarcai nel ’37 non lavorai per niente. Biblioteca e quadri di altri […]. L’Expo, in cui c’erano i grandi Cézanne di Filadelfia e c’era Guernica di Picasso, e lì che ho avuto una folgorazione diciamo per questi grandi pittori […] Guernica col suo surrealismo e suoi simboli, scardinò completamente l’idea di realtà che mi ero costruito […] Cézanne, ma non per i suoi cubi o per i suoi cilindri, ma per una forza travolgente del suo impasto di colore, io ricordo quelle Bagnanti […] ed era proprio un colpo di bleu e di arancione, ma un colpo che ti penetrava […] Ritornai scoraggiato, carico di emozioni, ma altrettanto confuso e disarcionato”). A Milano, dal ’39 al ’42, Morlotti frequenta Brera (“Mi ero iscritto all’Accademia di Milano e lì ho trovato tanto Carpi quanto Funi di una generosità enorme […] io penso che umanamente siano state delle persone molto forti, come d’altra parte eravamo forti tutti noi giovani, c’era la storia dell’antifascismo, insomma c’era una vera società […]”). Era intanto nato “Corrente di vita giovanile”, un giornale e un movimento, che avvicinava le migliori intelligenze del tempo nell’anelito di rinnovamento e di opposizione. Morlotti entra a far parte di “Corrente” nel ’40 (“Milano, nonostante la guerra e il fascismo, fu per me città talmente calda e generosa da guarire qualunque malinconia […] Io la storia di Corrente l’ho vissuta perché mi sembrava una specie di ‘Scapigliatura’, un antinovecento, ossia la natura contro la forma […] una rivolta contro i padri ecco…allora io guardavo a Corrente come all’araba fenice, una lontana sorgente di luce, l’unica officina operante di idee, verità e opposizione […] Conobbi subito Cassinari…poi via via De Micheli, Treccani, Joppolo, Morosini, Birolli e gli altri […] C’era anche motivo di disaccordo che però mi tenevo per me. I loro amori e indirizzi erano per Van Gogh, Ensor e gli espressionisti, io ero dalla parte di Cèzanne, nonostante la mia natura chiusa ma turbolenta e romantica […]. Conobbi Gatto, Sereni, Vittorini e Quasimodo […] mi sentii in mezzo a protagonisti, a tutto ciò che agiva, che pensava, costruiva e si opponeva [...] questi sono gli anni miei di ‘Corrente’. Posso dire che sono stati gli anni miei più fecondi e felici.) Nel’41 e nel ’42 Morlotti partecipa al premio Bergamo. I suoi orientamenti artistici sono chiaramente delineati, ed egli va assumendo una sua precisa, isolata posizione. Nel ’44 si ritira a Mondonico. Ha già dipinto opere intense, in cui la sua risentita carica umana esplode all’interno di una forte pittura di materia, intesa a risalire, in modo del tutto personale, agli individuati cardini della tradizione moderna europea (“Mi buttai corpo a corpo con la pittura. Poco a poco arrivai a quei paesaggi di Mondonico – sporchi, carichi, geologicamente incandescenti. Era già pittura preinformale […]. Avevo vissuto per qualche mese, durante l’occupazione dei tedeschi di Milano, a Mondonico. Di là vedevo il granoturco farsi alto con le pannocchie gonfie. La voce del fiume mi riportava ai miei anni, era come una voce della natura a sollecitarmi […] non era l’albero o la casa che mi interessava, ma il senso di panico di cui sentivo invaso il paesaggio, la risonanza interiore di quella natura. Io debbo molto ai miei amici: Birolli, Cassinari, Guttuso, al tempo di Corrente. Ma debbo molto anche a queste cose di natura, al dato umile della vita quotidiana. Volevo riuscire ad effondere dentro il quadro questo senso panico della vita, superare il senso eroico della retorica”). La guerra non passa senza lasciar traccia. Morlotti più insistentemente inclina verso il chiarimento delle estreme, autentiche ragioni del suo essere pittore. Tra il ’45 e il ’46 dipinge i paesaggi detti Dossi, e quelle opere di forte, definitiva riflessione su Picasso, che sono La donna che si lava e Le donne di Varsavia. È attivamente partecipe della vita culturale del tempo, collabora a riviste (“Il 45”, “Numero”, “Pittura”) tenta malgrado la sua istintiva avversione per ogni speculazione astratta (“quel che scrivo o dico, mi sembra un ribaltamento sbiadito, inerte, di ciò che il lungo e il lento lavoro di cavalletto ha accumulato”) un chiarimento teorico della posizione del pittore. Nel ’47 incontra Lionello Venturi, che gli procura una borsa di studio per Parigi. Vi ritorna, per breve tempo, con Birolli (“Andai con grande entusiasmo: ma fu una grande delusione. Anche lì, non feci un quadro. L’ambiente era quello postcubista e mi sembrò senza vita […] di riviste di cultura neanche l’ombra. ‘Cahiers d’art’, ‘Minotaure’, ‘Verve’ erano sparite. Anche nei grandi padri incominciai a vedere solo formalismo, elegante, e stucchevole. Il Picassismo pesava su di me come una droga Fautrier, De Staël, Wols, Dubuffet: ma non li capivo. Fortunatamente c’erano anche Sartre e Camus: “L’homme revolté” segnò per me una grossa svolta. Non più rivolta alla società, ma rivolta a se stessi: se stesso causa di tutti i guai. Mi sembrava di avere la lebbra adosso e di infettare tutto. Fu un seme che si allargò e si sviluppo in me velocissimamente. Addio storicismo, marxismo, trotskismo, Francia, Russia, addio Voltaire, Rousseau, Diderot, società, ragione, razionalità, materialismo, dialettica e compagnia bella. Addio ‘le vent se lève’, a ‘La joie de vivre’. Viendra l’heurese surprise! C’ero io solo con la mia lebbra – il mio picassismo - che odiavo come un nemico. Non stetti molto a Parigi, i progetti non servivano a niente”). Nel ’46 Morlotti momentaneamente aderisce al “Fronte Nuovo delle arti”, un movimento che si sfalda assai presto per dissapori tra i suoi componenti. Fa quindi parte del ‘Gruppo degli Otto’, ma anche in questo caso la partecipazione è assai effimera (“[…] anche quando fui nel ‘Gruppo degli Otto’, diretto da Lionello Venturi, non riuscivo a condividere l’intera posizione. E appena fui stanco me ne tirai da parte, tornando alle mie cose, al fiume, all’infanzia, alla luce dei miei tempi”). L’isolamento di Morlotti si accentua agli inizi degli anni cinquanta. Risalgono a quest’epoca dipinti come La siesta, limite estremo di quel travaglio di spoliazione del linguaggio moderno della pittura moderna dal quale scaturirà la sua successiva immagine. Nel ritiro di Imbersago in Brianza, Morlotti in pochi anni compie l’opera che riconosciamo tra le più autentiche e dense di valori umani del nostro tempo (“Nel ’51 mi imbattei casualmente nel paesaggio incantevole di Imbersago. Di colpo mi ricordai le colline di Mondonico, che avevo completamente dimenticato, e quel fascino mi sedusse talmente che mi insediai lì, e lì ricominciai da capo a dipingere ‘dal vero’ […] Io penso che ad Imbersago comincia la mia storia: meglio la coscienza della mia storia. In quel tempo nacque per caso un sodalizio con Arcangeli e Testori: mi permise la conoscenza dei ‘ problemi caravaggeschi’, e della grande pittura lombarda; la coscienza e la stima di Longhi, e la scoperta delle mie radici […] un filosofo americano che mi è capitato per caso diceva che anche un filo d’erba nasce da un incrocio, da un coito […]. Da allora sparirono i tramonti, e gli orizzonti, le vedute. Mi fermai ad osservare i ‘particolari’ di natura. Mi crearono turbamenti le mele sul melo, la pannocchia sul granoturco, e gli insetti che gremivano il sottosuolo. Cominciai a sentire qualcosa di segreto e di molto misterioso. La realtà, dietro le cose; un sottofondo e una gravità attorno: e, cosa che mai avevo avvertito, di partecipare a queste cose. Ebbi qualche anno di lavoro solitario, e appassionato; senza progetti, senza attese […] Ero molto vicino inconsapevolmente a ciò che Bigongiari chiama organismo vivente’”). Nel ’54 l’artista presenta alla XXVII Biennale di Venezia cinque grandi quadri di figura, poi distrutti. Erano l’annuncio di quella poetica nella quale si afferma l’identità di figura e paesaggio, metafora prorompente della sua idea della pittura come coinvolgimento, come essere nelle cose. I rapporti di Morlotti con l’Informale europeo esistono semplicemente come sua consonanza al tempo, come un aderire a quell’intuizione che fa tabula rasa di ogni precostituito schermo di valore, d’ogni forma già data “[…] ero stranamente vicino anche ai veri eroi della mia generazione, tutti piegati nell’avventura dell’organico e del vivente: Gorky, De Staël, Pollock […]. Potrei essere definito informale se si tiene conto della coincidenza che esso stabilì, in pittura con il valore dell’istinto. Mi sembrò la rivolta della vita contro le belle cose, le idee troppo sistematiche. Io mi sentivo attratto verso un impulso romantico. Volevo involgermi nella natura, più che mettermi a guardarla e a dipingerla dal di fuori […]. Per raggiungere la mia immagine non curavo i mezzi. Affondavo nella materia per raggiungere una chiarezza di linguaggio”). Al sommo della densa stagione degli anni cinquanta Morlotti sposta il suo interesse sul paesaggio ligure. L’incontro è preparato dagli interni movimenti del linguaggio dell’artista: esso assume quel “punto di distanza” (P.G. Castagnoli) che la precedente esperienza aveva negato. È la riscoperta di una dimensione di distanza dall’immagine dopo il coinvolgimento che ha caratterizzato l’opera precedente. “[Capii che quell’abbondanza di colore […] alterava il senso di quello che io volevo stabilire. Volevo e voglio raggiungere le mie aspirazioni di densità organica […] ma ora cerco di non lasciarmi affogare nella materia […]. È ancora il senso dell’organico ad esprimersi in quei paesaggi. In Liguria ho incontrato per caso un sottobosco bellissimo e misterioso, diverso dalla natura che vedevo in Brianza e ho iniziato a dipingere quel mistero […]”). Tra il ’70 e il ’75 Morlotti dipinge grandi quadri di figura, culminanti nel dipinto Ricordo di Hölderlin: una compiuta espressione del motivo dell’appartenenza della figura e del paesaggio all’humus formante della pittura. Tra il 1970 e il 1977 nasce la serie dei Teschi, mentre contemporaneamente, a partire dal ’75, Morlotti inizia dipingere sul tema delle rocce. La sua immagine sembra discostarsi dagli interessi per l’organico (“[…] ho fatto dei teschi in commemorazione dei miei amici, come Arcangeli, così, e ho visto che spogliavo la realtà di questa linfa, di questa vegetazione, non so di questa carne che vive, e così sono arrivato sia ai ‘teschi’ sia alle ‘rocce’ […]. Io avevo una tavolozza molto semplice, molto abituata ormai a questo tono verde che mi riusciva […] quindi volevo ritornare a dei bianchi, a dei gialli […] mi è stato molto difficile, e ancora sono ancora dentro questa pastoia da cui desidero uscire, perché il mio sogno è di arrivare alla luce, alla allucinazione, che brucia tutto, mi devo avvicinare un po’ alla morte”). Sul tema delle rocce una nuova dimensione espressiva si configura nell’opera di Morlotti, aperta sul suo successivo dipingere (“mi è nata questa emozione della roccia anche perché era esaurito un certo ciclo di vegetali a cui io ero legato per delle ragioni anche fisiologiche, credevo molto nell’organico […] allora rincorrevo il sogno dell’organico vivente […] ma da due anni mi attardavo a ricalcare schemi consueti […]. Come sempre succede in questi momenti, non solo non volevo arrendermi, ma pensavo anzi di riparare, di rifarmi di un passato insoddisfacente, inadeguato, e anche qui come sempre ho dovuto abbandonare e ripiegare, e per di più sull’inorganico. In quel tempo mi ricordai di un posto sopra Bordighera che da lontano mi aveva sempre incantato ma non avevo mai avvicinato. Lo raggiunsi per un erto sentiero, si trattava di pochi massi che al sole del mattino splendevano ronzanti e allucinanti. Mi riuscì qualche quadretto e qualche pastello soddisfacente, e da lì incominciai ad appassionarmi al problema della luce fino ad allora subalterno. Andando su e giù per l’autostrada ligure mi aveva sorpreso e poi avvinto una cerchia di monti tra Feglino e Finale. In certe ore, in quel grande spazio senza tempo, solitario e silenzioso, diventavano incandescenti e lì mi stabilì nel 1976. Gli inizi come sempre furono difficili e non dico gli avvilimenti e le difficoltà. Ero consapevole che quel ripiegamento era una sconfitta, un naufragio, una diserzione; ma più tardi si affacciarono anche risvolti positivi. Prima fra tutti un nuovo fantasma da inseguire e perseguire; secondo un rinnovato amore per la natura, il dissolversi di indifferenza e nichilismo. “Intanto lasciami vagare e cogliere bacche selvagge per estinguere l’amore di te sui tuoi sentieri, o terra.” Terzo risvolto, infine, l’analogia con un interesse, una passione nata in quegli anni per l’architettura romanica, l’unica passione rimasta. Certe rocce si ergevano davanti a me stupefatte, impassibili, abbaglianti come le chiese di Plassac, Seu d’Urgell, Jumièges. Si avviava insomma una nuova avventura”). Al ciclo delle Rocce tiene dietro un rinnovato interesse per la figura. Alla metà degli anni ottanta Morlotti inizia a dipingere una serie di Bagnanti: sono grandi figure, plastiche, di materia densa, pervase di luce e riecheggiano, nella loro imponente struttura, il suo amore per l’architettura romanica. (“Ho studiato tutto il romanico per la sua religiosità, per la sua semplicità…sì mi commuoveva il paesaggio, ma l’amore tardivo per l’architettura era ancora più forte. Piccole chiese dagli interni importanti, chiese con volti. A un certo punto mi è piaciuta più l’architettura della pittura. Ho cercato in Francia il romanico popolare, la chiesa protocristiana. Ho avuto il senso di accorgermi della loro grande e sommessa religiosità. Io non sono uno che entra e prega. Non mi è mai successo. Li ho sentiti come luoghi di inquietudini private”). Alla Biennale dell’88 le grandi figure di Morlotti stupiranno la critica più avvertita per la loro potenza espressiva e per “lo spessore doloroso e nuovo” (R. Tassi) che le distingue. Ora l’artista è assiduamente, appassionatamente impegnato a dipingere il nuovo ciclo delle Bagnanti. È un tempo di intenso lavoro, di fervida, di profonda ispirazione. Nascono oltre tutto dipinti di dimensioni maggiori di quanto Morlotti abbia mai realizzato prima. Le ultime, grandi Bagnanti di Cèzanne non sono un riferimento diretto ma agiscono certamente nella memoria dell’artista, nel suo anelito a pervenire a quell’assoluta fusione tra figura e paesaggio che egli aveva tentato altrimenti in precedenti fasi della sua attività. I dipinti di questi ultimi anni manifestano una raggiunta armonia fra i fondamentali temi dell’arte di Morlotti e persino una mutata connessione tra i diversi elementi del suo precedente linguaggio al punto da pervenire, la sua immagine, ad un nuovo, arioso senso dello spazio conservando, potente, il senso dei luoghi e dell’ora naturali. Alcune importanti mostre rendono nota l’altezza poetica raggiunta da Morlotti, e una critica di valore, al solito fuori norma - Tassi e Testori soprattutto - accoglie con ammirazione la novità di questa ultima stagione dell’artista. Morlotti stesso chiarisce il senso del suo lavoro nato in questi anni tra Bordighera e la Brianza: “Erano donne, figure di tanti anni fa, che avevo visto sul lago. Donne di rosa e di azzurri. Sono soggetti antichi, ci passa la storia della pittura, da Giorgione a Cèzanne. Il nudo nel paesaggio è un chiodo che ho sempre avuto. Finalmente l’ho afferrato. Non c’è eros ma tanta calma…tanta calma. C’è il piacere, ma una pittura di piacere, la sensazione che dà il vivere in un mondo di armonia. Guardando quei quadri li ho visti quasi come fossi contento di vivere”. Ennio Morlotti muore improvvisamente a Milano il 15 dicembre del 1992. Gianfranco Bruno, “Biografia”, in Gianfranco Bruno, Pier Giovanni Castagnoli, Donatella Biasin, "Ennio Morlotti. Catalogo ragionato dei dipinti”, Skira, Milano, 2000.

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